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sabato 17 marzo 2007

La rabbia dei maestri: le mani dello Stato nelle nostre tasche

(Dal Quotidiano della CISL Conquiste del lavoro, trascriviamo questo articolo. Per leggere il giornale, vai sulla destra della home page e clikka sul link Stampa, Radio, Tv. Nella pagina che si apre, trovi ciò che cerchi. Per vedere questo articolo, con relativa vignetta, clikka QUI).
Se la pagano con una trattenuta obbligatoria dello 0,80% sulla busta paga ma rischiano di non poterne più usufruire: parliamo di assistenza. Quella assicurata agli iscritti da un Ente storico, l’Enam, che rischia di andare a gambequarantotto: 334.285 maestri della scuola dell’infanzia e della primaria (ma i beneficiari, considerando i pensionati, i fuori servizio e gli ex dirigenti scolastici, superano 1,2 milioni di persone) sono pronti alla mobilitazione fino a quando il Governo non troverà una soluzione a un provvedimento, introdotto dalla Finanziaria del 2005 ma poi confermato da un decreto del ministro Bersani e dalla manovra del primo Governo Prodi, che viene sentito dalla categoria come uno ”scippo legalizzato” che sta svuotando le casse dell’Ente e mette a rischio le missioni per cui è nato: solidarietà, sussidiarietà e assistenza. Lo spiega a Conquiste il presidente dell’Enam, Ciro Di Francia, già sindacalista della Cisl campana, esperto di scuola e formazione e, da pochi mesi, alla guida dell’Ente.
Una categoria a dir poco arrabbiata?
E vorrei vedere se qualcuno venisse a mettere le mani nelle sue tasche. L’Enam sta attraversando una fase delicata e in parte drammatica perché è ingiustamente inserito in un elenco Istat degli enti di assistenza e previdenza a cui è stato imposto un tetto di spesa e l’obbligo di accantonamento e versamento di una parte delle risorse alla casse dello Stato. E’ giusto contribuire per sanare il debito pubblico e mettere a posto i conti, ma non è accettabile penalizzare due volte i lavoratori a cui si sottraggono somme destinate a prestazioni istituzionali. Qual è nello specifico il nodo di questa situazione? La Finanziaria 2005 ha imposto che le spese non superassero il 4,5% rispetto all’anno precedente e, per i due anni successivi, l’incremento non dovesse essere superiore al 2%. Poi è intervenuto il decreto Bersani che ha dato il colpo di grazia prevedendo che gli stanziamenti delle spese per consumi intermedi siano ridotti del 10%, che per il triennio successivo 2007-2009 le spese non devono oltrepassare l’80% di quelle del 2006 e che le riduzioni devono essere accantonate e versate allo Stato. In caso contrario, il bilancio non viene approvato dalle amministrazioni vigilanti.
In pratica questo che cosa vuol dire?
Vuol dire che l’Enam, ingiustamente, per vedersi approvati i Bilanci 2005 e 2006, ha dovuto sborsare la bellezza di circa 7 milioni di euro, oltre a 9 milioni per sanare le pratiche di rimborso del 2006 sostenute dai Comitati provinciali dell’Ente (che sono a stretto contatto con le esigenze degli iscritti). Soldi degli iscritti, che fanno parte dell'avanzo primario dell’ente e che vanno a incidere sull’obbligo di garantire il diritto al rimborso delle prestazioni sanitarie a cui i soci hanno diritto. Questa situazione è gravissima soprattutto perché stiamo parlando di un ente che rappresenta le istanze di una fascia sociale in continuo aumento e che, purtroppo, rientra sempre più nella cosiddetta ”nuova povertà”. Negli ultimi tre anni, le richieste di prestazioni sono addirittura raddoppiate e questo sia per una migliore azione comunicativa dell’Ente ma anche perché sono aumentati i bisogni di decine di migliaia di persone che non ce la fanno a sostenere i costi di un esame specializzata, un’operazione urgente e ricorrono al loro Ente per un sostegno concreto. Già, in una situazione normale, l’Enam riesce, a fatica, a rispondere a tutte le richieste, figuriamoci con questi prelievi obbligati. Oltre il 70% del nostro bilancio è impegnato per l’assistenza sanitaria degli iscritti. Toglierci queste risorse vuol dire non aiutare chi ha bisogno di affrontare un problema di salute e di cura della persona.
Che cosa chiedete per uscire da questo empasse?
Con il pieno sostegno delle organizzazioni sindacali, stiamo seguendo tutte le strade sul versante politico e giurisdizionale per convincere il ministero del Tesoro a tornare sui suoi passi ma senza abbandonare la strada del ricorso giurisdizionale. Chiediamo, in sostanza, lo stralcio da quel fatidico elenco dell’Istat che ci sta mettendo in ginocchio. Se questo non sarà possibile, dovremo puntare al decreto sul plafond, per limitare i danni ma, in questo caso, i tempi non saranno brevissimi.
Cosa avete in mente se non riuscirete a ottenere un cambiamento?
Abbiamo un incontro al Tesoro per sbloccare la situazione ma siamo pronti alla mobilitazione. Pensiamo a campagne per informare e coinvolgere tutta la categoria, per far sentire la nostra voce a tutti i livelli. Attiveremo tutte le strutture a livello territoriale. Se il Governo non capisce che sta sbagliando dovrà rispondere della crisi di queste Ente che da oltre 50 anni fa solidarietà e assistenza ai suoi iscritti in un quadro comunque preoccupante perché via via si sta riducendo il numero dei contribuenti che versano lo 0,80% e cresce rapidamente il numero dei beneficiari.
Andrea Benvenuti
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