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venerdì 2 novembre 2007

Su l'UNIONE. Un intervento del Dott. Gabriele Uras sulle questioni relative alla funzione docente.

(Pubblicato su l'UNIONE SARDA di ieri 1° novembre)

Il fondo di Giuseppe Marci sull’UNIONE SARDA di ieri, brillante e preciso nei riferimenti alla situazione della scuola italiana, sollecita qualche ulteriore riflessione. L’analisi del professore prende le mosse da un recente intervento del Governatore della banca d’Italia Mario Draghi, nel quale viene ribadita la tesi che per modificare la situazione economica e sostenere lo sviluppo del Paese occorre puntare sulla scuola e sull’istruzione.

Ci si sofferma in particolare sulla scuola secondaria superiore, la più vicina al mondo del lavoro, coinvolta nei problemi della prima occupazione giovanile molto più degli altri gradi scolatici.

Con questo tipo di analisi, quando si fa l’elenco dei problemi da affrontare, l’occhio cade di preferenza sulle variabili di tipo strutturale: edilizia, offerta formativa sul territorio e sua congruità rispetto alle sue caratteristiche economiche ed alle esigenze del mondo produttivo. Passano in secondo piano gli aspetti di carattere funzionale riguardanti lo stato e la qualità della didattica, che costituisce sempre e comunque lo specifico su cui il sistema scolastico può essere chiamato a rispondere in ordine ai risultati.

Se lo si facesse balzerebbero in primo piano le questioni relative alla funzione docente. Ci si renderebbe conto che una parte essenziale della crisi del nostro sistema formativo ha come componente fondamentale la crisi degli insegnanti, che insieme agli allievi costituiscono la parte sensibile e dolorante del sistema.

Ad esempio, la recente campagna mediatica sui debiti formativi non onorati ha concentrato l’attenzione sullo studente scansafatiche e sul docente giudice talvolta ansioso di incrementare il magro stipendio con la preparazione agli esami di riparazione. Solo qualcuno ha denunciato gli errori del legislatore, che da anni conduce sul delicato organismo della scuola italiana esperimenti talvolta improvvisati, tal’altra strumentali a battaglie ideologiche.

Qualche anno fa, il direttore di una rivista scolastica chiedeva al Governo e al Parlamento di raffreddare l’ossessione del nuovo, di rinunciare per alcuni anni a riformare la scuola, per consentire ai docenti di capire le riforme già approvate e non ancora realizzate.

Aveva ragione. Cambiare significa introdurre il meglio al posto del peggio; implica un doppio giudizio, uno di approvazione l’altro di condanna. Quando i cambiamenti si succedono con ritmi troppo elevati, uno degli effetti è di rendere pericolosamente frequenti i giudizi negativi su quanto fino a ieri ritenevamo positivo. Si perde la fiducia nel proprio lavoro. Si perde la “fede”. Continuiamo ad insegnare da “atei devoti”. Adempiamo il nostro dovere, ma senza entusiasmo.


Gabriele Uras
Ispettore Tecnico MPI in pensione
già Presidente IRRE Sardegna

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