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venerdì 25 aprile 2008

Spigolature

“Derogare a” o “da”?

Si deve dire “derogare a una legge”, “derogare a una norma”; bisogna cioè usare quel complemento di termine che corrisponde al caso dativo usato dai Latini: Cicerone diceva infatti derogare legi. Questo verbo, schietto latinismo, fu all’origine della nostra lingua d’uso squisitamente letterario; cominciò a usarlo Dante nel Convivio: “Non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare”.

Lo usò spesso il Boccaccio: “Al primo sacramento deditamente fatto, niuno puote di ragione derogare” (Filòcolo); “Niuna legge si riformava, a niuna si derogava” (Vita di Dante); e via via molti altri autori fino all’Ottocento.

A questo punto, entrato nel linguaggio cancelleresco, se ne fece tanta orgia che il verbo si vide socchiudere in faccia, se non proprio chiudere, la porta dell’uso letterario più vigilato. Oggi derogare trionfa nelle aule dei tribunali, in quelle parlamentari, negli uffici amministrativi: tutti luoghi, senza far torto a nessuno, dove il linguaggio anziché raffinarsi si deteriora.

Così, negli uffici nacque l’errore di costrutto, che poi passò alle stampe e alla radio.

Resta ora da domandarci come possa essere nato questo nuovo costrutto; l’origine non può essere che analogica: è il richiamo di altri verbi col prefisso de-, e correttamente costruiti col da, che ha generato l’errore; come detrarre (“detrarre dal totale”), come desistere (“desistere dalla lotta”), come decadere (“decadere dall’antica grandezza”) e alcuni altri.

Tratto da Aldo Gabrielli, Il Museo degli Errori, Oscar Mondadori n. 728, Milano 1977.

Franco Bampi

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