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mercoledì 21 maggio 2008

Spigolature

Realizzare

Quando i Francesi, nel secolo XVI, foggiarono sull'aggettivo medievale latino realis il loro réaliser, gli dettero l'unico significato logico che potesse avere, quello di «rendere reale», «tradurre nella realtà», quello, insomma, che l'italiano dice coi verbi attuare, effettuare, compiere e molti altri che più sotto vedremo.

Passato il verbo in Inghilterra, il to realize acquistò in quella lingua anche un secondo significato tutto particolare: quello di «capire chiaramente una cosa», «rendersi conto di», «accorgersi di» e simili (quasi «rendere reale, cioè evidente, a sé una cosa»). La Francia quasi mossa da gelosia, con questo significato si affrettò a reimportare il verbo verso gli ultimi anni del secolo scorso (il dizionario etimologico del Dauzat ci precisa la data: 1895).

Chi ne fece largo uso fu soprattutto il popolare romanziere Paul Bourget, seguito dall'autorevole critico Henri Bremond: sì che oggi il verbo è d'uso comune in Francia anche in questa accezione, e i dizionari lo registrano senza riserva alcuna. Il più recente Larousse ne riporta addirittura un esempio dell'accademico Claudel: «Nous réalisons que ce monde extérieur est notre monee».

Furono soprattutto i romanzi del Bourget, largamente tradotti in Italia, a inserire anche nel nostro lessico questa singolare accezione del verbo, per merito, si fa per dire, dei soliti traduttori orecchianti. Conviene tuttavia aggiungere che questo significato s'era andato via via perdendo nel nostro comune linguaggio, tanto che lo stesso Panzini, nel suo Dizionario Moderno, lo citava, sì, ma senza particolare evidenza e senza un dei suoi soliti caustici commenti.

Solo in questi ultimi anni di totale asservimento linguistico anglo-americano il to realize è entrato trionfalmente perfino nel linguaggio cosiddetto letterario. In un recente articolo storico ho letto per esempio questa frase: «Bastarono poche parole del ministro a Caterina perch'ella realizzasse con terrore l'immensità della catastrofe».

Ricordo poi, per l'impressione che mi fece, che in un film di buon successo, Boccaccio 70, il to realize inglese apparve trionfalmente in technicolor. «Tu non realizzi la gravità della situazione», dice press'a poco l'avvocato all'aristocratico spendaccione romano, nell'episodio diretto dal Visconti. E l'aristocratico risponde: «Realizzo, realizzo», cioè me ne rendo conto esattamente.

C'è davvero da sorridere quando si pensi che il verbo realizzare suscitò un mucchio di discussioni tra i vecchi puristi fin dal suo primo apparire nel significato originario francese di «render reale», «attuare» e simili; soprattutto per la sua sfacciatissima fortuna che subito ebbe; fortuna che facilmente si spiega essendo un di quei tanti verbi di comodo, da me spesso segnalati, che adattandosi a cento significati diversi risparmiano la fatica di ricorrere ad altri che richiedono, per trovarli, un minimo di ricerca e di fantasia.

Se uno si volesse prendere la briga di questa ricerca, presto si avvedrebbe che lo squallido realizzare corrisponde ad alcune decine di altri verbi nostrani non solo più schietti ma anche più adatti e calzanti nelle singole occorrenze.

Un sogno che si realizza è un sogno che si avvera; un proposito che si realizza è un proposito che si attua; chi realizza una promessa la mantiene; chi realizza un capitale investito in un'impresa lo ricupera; lo scultore che realizza una statua la fa, la scolpisce, la modella; chi realizza un lavoro qualsiasi lo esegue; il calciatore che realizza una rete la segna; il commerciante che realizza un buon guadagno lo ricava; chi vuole realizzare un buon successo intende ottenerlo; e via realizzando da riempirne una pagina intera.

Contro questo verbo, sia chiaro, non ho nessuna animosità puristica preconcetta; nel suo significato di origine può cadere, a volte, anche opportuno. È il significato all'inglese che non riesco ad accettare; e non mi spiego la simpatia che esso sembra suscitare anche in alcuni scrittori toscani che certi rozzi esotismi dovrebbero ripudiare per istinto. Padronissimi tuttavia gli scrittori di farne l'uso che vogliono; ma nessuna indulgenza, nessuna giustificazione è possibile per quei dizionari, di cui alcuni strombazzatissimi, che danno ricetto al nuovo aberrante significato senza il pur minimo accenno di esotismo.

Tratto da Aldo Gabrielli, Il Museo degli Errori, Oscar Mondadori n. 728, Milano 1977.


Franco Bampi

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