L'Insuccesso Scolastico. Non è la scuola degli innocenti. Responsabili anche gli alunni.
Intervento del Dott. Gabriele Uras su l'Unione Sarda di Sabato 22.3.2008
I nostri studenti dedicano poco impegno allo studio, sono distratti e demotivati. Starebbe qui, a detta degli esperti e degli opinionisti della carta stampata e della radio televisione una delle ragioni del grande numero di insufficienze rilevate dal Ministero della P. I. alle fine del primo quadrimestre nelle scuole secondarie. Ma forse le cause del fenomeno sono più complesse.
L’insuccesso scolastico chiama in causa, come possibili fattori variamente combinati, non solo l’allievo, la famiglia e il contesto sociale e culturale di appartenenza, ma anche la scuola ed in essa i docenti. I casi più gravi si hanno quando questi fattori operano in sinergia, una perversa sinergia, l’uno rinforzando l’altro e attenuando la percezione delle responsabilità da parte dei diversi attori in campo.
Volta a volta o tutti insieme, nessuno può sottrarsi alle proprie responsabilità, meno di tutti la scuola. Costei, anche quando ritenesse di avere assolto pienamente il proprio compito nella cura della didattica, non può fermarsi alla mera constatazione dell’insuccesso e delle altrui manchevolezze. Compete ad essa un ulteriore impegno di natura tecnica e professionale consistente nell’analizzare le cause della mancata riuscita, tenere conto delle forze che sono al di là delle possibilità d’intervento del docente, adeguare e modificare la cifra metodologica del suo lavoro per aprirlo anche in direzione sociale.
La modulazione del rapporto coi genitori degli allievi, molto difficile e delicato, rientra tra i doveri del docente, non solamente al livello della scuola dell’infanzia e primaria, dove è da sempre convintamene praticata, ma anche al livello delle scuole secondarie, nelle quali è un’acquisizione più recente, forse non ancora del tutto condivisa e pienamente praticata.
Operando in collaborazione con la famiglia è possibile non solo controllare e ridurre le influenze negative del contesto di vita, ma anche contribuire a tenere alto il prestigio dell’istituzione scolastica ed a rinforzarne l’azione.
Ma a questo punto è necessario qualche ulteriore approfondimento per precisare che, se nessuno tra i soggetti, individuali o collettivi, scolastici o extrascolastici, protagonisti intenzionali o no dell’azione formativa può essere dichiarato “innocente”, tale qualifica non spetta nemmeno all’allievo. O meglio: possiamo considerare innocente il bambino della scuola dell’infanzia ed anche, ma già un po’ meno, e per ragioni didattiche ed educative, quello della scuola elementare, e così via secondo gradienti inversamente proporzionali ai livelli crescenti di autonomia dei soggetti. A un certo punto, le consapevolezze dovute alla crescita del soggetto confinano i privilegi dell’innocenza nelle zone marginali (in senso statistico) dei diversamente abili.
In altri termini, viene il momento in cui l’allievo può e deve essere chiamato a rispondere di ciò che fa e di ciò che omette di fare. Nella scuola questo fare significa apprendimento, applicazione, impegno e fatica. Ignorare o passare sotto silenzio le omissioni e le negligenze, i debiti formativi e il loro mancato recupero sarebbe pedagogicamente contraddittorio, perché equivarrebbe a disattendere uno degli obiettivi fondamentali della formazione, il senso di responsabilità.
Ma prima di arrivare a tanto, occorrerà che il sistema scolastico sia organizzato in modo da ridurre al minimo le sue responsabilità nell’insuccesso degli allievi. La qualità e la varietà dell’offerta formativa, le possibilità di uscita e di rientro nei percorsi dovrebbero essere tali da consentire al ragazzo e al giovane di cercare e di trovare facilmente il percorso formativo adatto alle sue attitudini. E’ quel che si chiama flessibilità.
La flessibilità offre a livello di sistema ciò che l’individualizzazione e la personalizzazione assicurano al livello della didattica. Ciò vale in particolare per la scuola dell’obbligo, nella quale l’individualizzazione è tesa a sostenere ed a recuperare chi è in difficoltà, mentre la personalizzazione mira a consente a ciascuno di coltivare i propri talenti personali, in tal modo coniugando uguaglianza e diversità e conseguendo la prima attraverso la seconda.
Una volta fornite le necessarie garanzie, ben vengano per il giovane le inevitabili durezze della vita e dello studio, il pagamento dei debiti e le sgradevoli conseguenze dei mancati recuperi. Risparmiargliene l’esperienza significherebbe danneggiarlo, ed una scuola che lo facesse non sarebbe scuola.
Gabriele Uras
ex Dirigente Tecnico del M.P.I.
già Presidente Irre Sardegna
I nostri studenti dedicano poco impegno allo studio, sono distratti e demotivati. Starebbe qui, a detta degli esperti e degli opinionisti della carta stampata e della radio televisione una delle ragioni del grande numero di insufficienze rilevate dal Ministero della P. I. alle fine del primo quadrimestre nelle scuole secondarie. Ma forse le cause del fenomeno sono più complesse.
L’insuccesso scolastico chiama in causa, come possibili fattori variamente combinati, non solo l’allievo, la famiglia e il contesto sociale e culturale di appartenenza, ma anche la scuola ed in essa i docenti. I casi più gravi si hanno quando questi fattori operano in sinergia, una perversa sinergia, l’uno rinforzando l’altro e attenuando la percezione delle responsabilità da parte dei diversi attori in campo.
Volta a volta o tutti insieme, nessuno può sottrarsi alle proprie responsabilità, meno di tutti la scuola. Costei, anche quando ritenesse di avere assolto pienamente il proprio compito nella cura della didattica, non può fermarsi alla mera constatazione dell’insuccesso e delle altrui manchevolezze. Compete ad essa un ulteriore impegno di natura tecnica e professionale consistente nell’analizzare le cause della mancata riuscita, tenere conto delle forze che sono al di là delle possibilità d’intervento del docente, adeguare e modificare la cifra metodologica del suo lavoro per aprirlo anche in direzione sociale.
La modulazione del rapporto coi genitori degli allievi, molto difficile e delicato, rientra tra i doveri del docente, non solamente al livello della scuola dell’infanzia e primaria, dove è da sempre convintamene praticata, ma anche al livello delle scuole secondarie, nelle quali è un’acquisizione più recente, forse non ancora del tutto condivisa e pienamente praticata.
Operando in collaborazione con la famiglia è possibile non solo controllare e ridurre le influenze negative del contesto di vita, ma anche contribuire a tenere alto il prestigio dell’istituzione scolastica ed a rinforzarne l’azione.
Ma a questo punto è necessario qualche ulteriore approfondimento per precisare che, se nessuno tra i soggetti, individuali o collettivi, scolastici o extrascolastici, protagonisti intenzionali o no dell’azione formativa può essere dichiarato “innocente”, tale qualifica non spetta nemmeno all’allievo. O meglio: possiamo considerare innocente il bambino della scuola dell’infanzia ed anche, ma già un po’ meno, e per ragioni didattiche ed educative, quello della scuola elementare, e così via secondo gradienti inversamente proporzionali ai livelli crescenti di autonomia dei soggetti. A un certo punto, le consapevolezze dovute alla crescita del soggetto confinano i privilegi dell’innocenza nelle zone marginali (in senso statistico) dei diversamente abili.
In altri termini, viene il momento in cui l’allievo può e deve essere chiamato a rispondere di ciò che fa e di ciò che omette di fare. Nella scuola questo fare significa apprendimento, applicazione, impegno e fatica. Ignorare o passare sotto silenzio le omissioni e le negligenze, i debiti formativi e il loro mancato recupero sarebbe pedagogicamente contraddittorio, perché equivarrebbe a disattendere uno degli obiettivi fondamentali della formazione, il senso di responsabilità.
Ma prima di arrivare a tanto, occorrerà che il sistema scolastico sia organizzato in modo da ridurre al minimo le sue responsabilità nell’insuccesso degli allievi. La qualità e la varietà dell’offerta formativa, le possibilità di uscita e di rientro nei percorsi dovrebbero essere tali da consentire al ragazzo e al giovane di cercare e di trovare facilmente il percorso formativo adatto alle sue attitudini. E’ quel che si chiama flessibilità.
La flessibilità offre a livello di sistema ciò che l’individualizzazione e la personalizzazione assicurano al livello della didattica. Ciò vale in particolare per la scuola dell’obbligo, nella quale l’individualizzazione è tesa a sostenere ed a recuperare chi è in difficoltà, mentre la personalizzazione mira a consente a ciascuno di coltivare i propri talenti personali, in tal modo coniugando uguaglianza e diversità e conseguendo la prima attraverso la seconda.
Una volta fornite le necessarie garanzie, ben vengano per il giovane le inevitabili durezze della vita e dello studio, il pagamento dei debiti e le sgradevoli conseguenze dei mancati recuperi. Risparmiargliene l’esperienza significherebbe danneggiarlo, ed una scuola che lo facesse non sarebbe scuola.
Gabriele Uras
ex Dirigente Tecnico del M.P.I.
già Presidente Irre Sardegna
Etichette: dispersione, gabriele uras
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