NELLA CONCORRENZA LA CURA MIGLIORE? Premiamo il merito senza dimenticare i bisogni.
Interessante intervento del Dott. Gabriele Uras su di un tema di viva attualità.
Pubblicato su L'Unione Sarda del 21 maggio.
Sul Corriere della sera del 12 e del 16 maggio, il professor Giavazzi ripropone le sue tesi sulla crisi della scuola e sui possibili interventi a rimedio. Nel farlo riprende anche alcune idee anticipate tempo fa dal neo ministro Mariastella Gelmini, che vede nella concorrenza tra le scuole un mezzo per migliorare il sistema educativo del nostro Paese. Un organismo terzo valuterebbe i risultati raggiunti e in conformità ad essi stilerebbe annualmente una “classifica regionale delle scuole fondata su parametri trasparenti e verificabili”. Tutti a questo punto conoscerebbero la qualità di ciascuna istituzione scolastica. Sulla base di questa conoscenza, le famiglie sarebbero in grado di scegliere per i loro figli il meglio nel mercato delle offerte educative, e il Ministero avrebbe finalmente la possibilità di distribuire le risorse pubbliche non più a pioggia, ma “in proporzione ai risultati” conseguiti.
Quelli dell’onorevole Gelmini sono intenti concepiti prima delle recenti elezioni e soprattutto prima della sua nomina come Ministro, che, come si sa, è vincolato all’osservanza di un programma. E a noi pare che nel programma del Pdl non sia presente una linea d’intervento ispirata a tanto liberismo. E’ inoltre da ritenere che l’impatto con la complessa realtà della scuola suggerirà i necessari temperamenti e adattamenti della pur giusta idea del merito.
E’, infatti, a tutti noto che ci sono scuole che funzionano bene ed altre che funzionano meno bene. Tra le prime ci sono quelle eccellenti, tra le seconde quelle, diciamo così, di seconda scelta. E’ diritto degli utenti (allievi, famiglie, società) che la curva statistica disegnata dai risultati sia asimmetrica e s’ingobbisca a vantaggio della qualità, e dovere dei politici e degli amministratori agevolare questo processo e favorire l’incremento delle eccellenze. Se risulterà che tra le possibili cause delle non buone posizioni in classifica ci sono il basso livello culturale delle famiglie, le loro condizioni economiche e le deprivazioni del contesto ambientale, chi governa appresterà interventi compensativi, in proporzione diretta non più al merito (basso) ma ai bisogni (alti), per neutralizzare le negatività rilevate in sede di valutazione. Questi rimedi non figurano nella ricetta del professor Gavazzi, giacché egli pare convinto che la concorrenza incrementerà automaticamente le eccellenze e decreterà la scomparsa delle scuole che non soddisfano l’utenza.
Ma gli sfugge anche un’altra questione, molto seria, di natura etica e intrinseca alla logica della concorrenza, in quanto basata sul raggiungimento dei risultati, ma anche, purtroppo, sul non raggiungimento. Soffermiamoci un po’ a riflettere su questa seconda ipotesi. La riflessione sarà più efficace se immagineremo di avere figli a scuola, e questa si venga a trovare nella parte bassa della classifica. A questo punto, le leggi di mercato passerebbero in seconda linea e verrebbe in primo piano nostro figlio e con lui gli altri allievi della scuola che non raggiunge i risultati. Qualcuno si salverà cambiando scuola, o crederà di salvarsi. E le altre “vittime”? C’è da chiedersi se sia moralmente accettabile un sistema educativo che contempli tra i suoi esiti, a regime, come cosa “normale”, su cui costruire una politica di distribuzione differenziata delle risorse pubbliche, il mancato raggiungimento dei risultati. La domanda è retorica e la risposta è scontata: se la produttività della didattica scende al di sotto dei “livelli essenziali delle prestazioni” (Cost., articolo 117) bisognerà intervenire a rimedio. Nessuna scuola può andare fuori mercato, perché con essa “andrebbero fuori mercato” anche i suoi allievi.
Che il ministero dell’economia abbia l’ultima parola sugli organici delle scuole è comprensibile, anche se la cosa non fa piacere ai sindaci delle zone interne della Sardegna. Ma quando è in gioco il diritto dei bambini, dei ragazzi e dei giovani ad avere il massimo e il meglio per la loro crescita, quando sono in ballo i diritti fondamentali della persona, gli spontaneismi del mercato nulla risolvono, e possono far danni. Forse, per aiutare la scuola ad uscire dalla crisi e a svilupparsi occorrerà percorrere altre vie: investire di più e meglio nel personale, favorire la ricerca didattica, potenziare e valorizzare le componenti tecniche del sistema.
Gabriele Uras
Dirigente Tecnico della P.I. in quiescenza
già Presidente IRRE Sardegna
Pubblicato su L'Unione Sarda del 21 maggio.
Sul Corriere della sera del 12 e del 16 maggio, il professor Giavazzi ripropone le sue tesi sulla crisi della scuola e sui possibili interventi a rimedio. Nel farlo riprende anche alcune idee anticipate tempo fa dal neo ministro Mariastella Gelmini, che vede nella concorrenza tra le scuole un mezzo per migliorare il sistema educativo del nostro Paese. Un organismo terzo valuterebbe i risultati raggiunti e in conformità ad essi stilerebbe annualmente una “classifica regionale delle scuole fondata su parametri trasparenti e verificabili”. Tutti a questo punto conoscerebbero la qualità di ciascuna istituzione scolastica. Sulla base di questa conoscenza, le famiglie sarebbero in grado di scegliere per i loro figli il meglio nel mercato delle offerte educative, e il Ministero avrebbe finalmente la possibilità di distribuire le risorse pubbliche non più a pioggia, ma “in proporzione ai risultati” conseguiti.
Quelli dell’onorevole Gelmini sono intenti concepiti prima delle recenti elezioni e soprattutto prima della sua nomina come Ministro, che, come si sa, è vincolato all’osservanza di un programma. E a noi pare che nel programma del Pdl non sia presente una linea d’intervento ispirata a tanto liberismo. E’ inoltre da ritenere che l’impatto con la complessa realtà della scuola suggerirà i necessari temperamenti e adattamenti della pur giusta idea del merito.
E’, infatti, a tutti noto che ci sono scuole che funzionano bene ed altre che funzionano meno bene. Tra le prime ci sono quelle eccellenti, tra le seconde quelle, diciamo così, di seconda scelta. E’ diritto degli utenti (allievi, famiglie, società) che la curva statistica disegnata dai risultati sia asimmetrica e s’ingobbisca a vantaggio della qualità, e dovere dei politici e degli amministratori agevolare questo processo e favorire l’incremento delle eccellenze. Se risulterà che tra le possibili cause delle non buone posizioni in classifica ci sono il basso livello culturale delle famiglie, le loro condizioni economiche e le deprivazioni del contesto ambientale, chi governa appresterà interventi compensativi, in proporzione diretta non più al merito (basso) ma ai bisogni (alti), per neutralizzare le negatività rilevate in sede di valutazione. Questi rimedi non figurano nella ricetta del professor Gavazzi, giacché egli pare convinto che la concorrenza incrementerà automaticamente le eccellenze e decreterà la scomparsa delle scuole che non soddisfano l’utenza.
Ma gli sfugge anche un’altra questione, molto seria, di natura etica e intrinseca alla logica della concorrenza, in quanto basata sul raggiungimento dei risultati, ma anche, purtroppo, sul non raggiungimento. Soffermiamoci un po’ a riflettere su questa seconda ipotesi. La riflessione sarà più efficace se immagineremo di avere figli a scuola, e questa si venga a trovare nella parte bassa della classifica. A questo punto, le leggi di mercato passerebbero in seconda linea e verrebbe in primo piano nostro figlio e con lui gli altri allievi della scuola che non raggiunge i risultati. Qualcuno si salverà cambiando scuola, o crederà di salvarsi. E le altre “vittime”? C’è da chiedersi se sia moralmente accettabile un sistema educativo che contempli tra i suoi esiti, a regime, come cosa “normale”, su cui costruire una politica di distribuzione differenziata delle risorse pubbliche, il mancato raggiungimento dei risultati. La domanda è retorica e la risposta è scontata: se la produttività della didattica scende al di sotto dei “livelli essenziali delle prestazioni” (Cost., articolo 117) bisognerà intervenire a rimedio. Nessuna scuola può andare fuori mercato, perché con essa “andrebbero fuori mercato” anche i suoi allievi.
Che il ministero dell’economia abbia l’ultima parola sugli organici delle scuole è comprensibile, anche se la cosa non fa piacere ai sindaci delle zone interne della Sardegna. Ma quando è in gioco il diritto dei bambini, dei ragazzi e dei giovani ad avere il massimo e il meglio per la loro crescita, quando sono in ballo i diritti fondamentali della persona, gli spontaneismi del mercato nulla risolvono, e possono far danni. Forse, per aiutare la scuola ad uscire dalla crisi e a svilupparsi occorrerà percorrere altre vie: investire di più e meglio nel personale, favorire la ricerca didattica, potenziare e valorizzare le componenti tecniche del sistema.
Gabriele Uras
Dirigente Tecnico della P.I. in quiescenza
già Presidente IRRE Sardegna
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