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sabato 14 giugno 2008

Dagli Istituti Regionali di Ricerca Educativa all'Agenzia per l'Autonomia Scolastica. Un saggio di Gabriele Uras pubblicato su "Quaderni Bolotanesi"

Un vivo ringraziamento all'Autore per aver autorizzato questa pubblicazione.
GABRIELE URAS

DAGLI IRRSAE AGLI IRRE
fino all’Agenzia per lo sviluppo dell’autonomia
pubblicato sul numero di maggio 2008 dei "QUADERNI BOLOTANESI
"

1. Premessa

La legge Finanziaria per il 2007, oltre a disporre l’istituzione dell’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica, decretava contestualmente la soppressione dell’Istituto Nazionale di Documentazione per la Ricerca Educativa (INDIRE) e degli Istituti Regionali di Ricerca Educativa (IRRE). La scomparsa degli IRRE costituiva una grave perdita per la scuola e per l’autonomia della ricerca in educazione. Tuttavia il provvedimento, che mascherava con fittizie ragioni di bilancio le sue reali motivazioni, fu accolto con un’attenzione inferiore alla sua effettiva portata.(1)
Tra le ragioni della scarsa attenzione c’era sicuramente anche la seguente: che ad essere effettivamente soppressi sarebbero stati solo gli IRRE, mentre l’INDIRE era destinato a sopravvivere e a proseguire la sua attività, con identiche funzioni e senza nemmeno cambiar sede (Firenze), in pratica a subentrare a se stesso, col nome nuovo della nascitura Agenzia. (2)
Ma, per meglio cogliere il senso di quanto era accaduto, occorre tornare indietro nel tempo.

GABRIELE URAS è un dirigente tecnico del Ministero della P.I. in pensione. Ha ricoperto per cinque anni la carica di presidente dell’IRRE Sardegna. Ha insegnato nelle scuole elementari delle province di Sassari e di Cagliari e diretto diversi circoli didattici prima di essere nominato, per concorso, ispettore tecnico della scuola elementare. Ha fatto parte di diversi gruppi di lavoro presso il Ministero. Suoi contributi di argomento pedagogico e didattico sono ospitati in riviste scolastiche e in pubblicazioni curate dal Ministero. Nella stesura del presente contributo, si è avvalso della cortese collaborazione delle professoresse Rosella Capriata e Rosa Piras, ricercatrici presso l’IRRSAE-IRRE della Sardegna, che ringrazia.


2. I Centri didattici

Nella prima metà del secolo scorso, con la Legge 30.11.42, n.1545, furono istituiti i Centri Didattici nazionali e provinciali, organi tecnici diretti a coadiuvare il Ministro e i Provveditori agli studi nello svolgimento delle attività di carattere pedagogico e didattico. (3) Era una innovazione rilevante. Ci limiteremo in questa sede a parlare dei Centri a dimensione nazionale. (4)
I Centri erano dotati di personalità giuridica di diritto pubblico e diretti da una Consulta, di nomina ministeriale, così come il Presidente e il Direttore. Nella loro “missione” rientravano numerosi compiti di natura tecnica, tesi ad integrare l’azione dell’Amministrazione e ad offrire ai suoi organi i supporti necessari all’efficace esercizio delle funzioni istituzionali: ravvivare negli uomini di scuola l’interesse per gli studi di metodologia didattica; condurre ricerche pedagogiche e didattiche; favorire metodi nuovi d’insegnamento, creando, per saggiarli, classi sperimentali; promuovere corsi di cultura educativa per le famiglie e corsi di differenziazione didattica e di perfezionamento per gli insegnanti, e altro ancora.
La corposità delle competenze attribuite delineavano una sorta di autonomo potere tecnico di orientamento e di proposta, capace di incidere sulla cifra professionale dei docenti delle scuole del Regno e di offrire all’Amministrazione il supporto necessario a fronteggiare le responsabilità derivanti dall’ estensione della propria area d’intervento all’istruzione tecnico-professionale e alla generalità delle scuole elementari. (5)
.

3. Potere burocratico e potere esperto

L’ampliamento dell’area d’intervento accentuava un’esigenza permanente dell’organizzazione dell’istruzione pubblica statale, articolata su tre livelli: il livello della direzione politica, con poteri generali d’indirizzo, il livello dell’azione amministrativa, deputata a tradurre in interventi conseguenti le decisioni ministeriali e infine il livello corrispondente all’insieme dei soggetti erogatori del servizio educativo, le scuole.
E’ noto che questo servizio deve rispettare canoni culturali, pedagogici e didattici di una certa complessità e di notevole specificità, che non sono familiari alla cultura propria di chi fa amministrazione. Ne discende che gli amministratori, per far fronte ai loro compiti di promozione, controllo e guida, hanno bisogno del contributo di soggetti e organismi dotati di competenze tecniche e culturali ordinariamente non comprese nei loro profili professionali. Nascono a questo fine i cosiddetti istituti di supporto; tali furono i Centri didattici, e in seguito l’INDIRE, l’INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione) e gli IRRE, a lato e complementari, per funzioni e per livello territoriale d’intervento, agli organi dell’Amministrazione.
Il rapporto tra questi ultimi e gli istituti di supporto tecnico si rivelerà non facile, darà luogo a difficili convivenze e porrà problemi di distinzione dei ruoli e delle funzioni ancora in attesa di valide soluzioni. In questo irrisolto dualismo risiedono, a nostro avviso, le ragioni della soppressione degli IRRE, vicenda emblematica di come, in nome dell’autonomia, si possa eliminare la condizione che la rende possibile, che, in questo caso, era costituita dalla presenza di un Consiglio di Amministrazione non controllato dalla burocrazia. Un caso anomalo di “voluta” eterogenesi del fine, una scelta politica a dir poco contraddittoria.


4. Una vita operosa ma breve

Nel corso degli anni ’50 videro la luce nove Centri didattici nazionali. Periodici, riviste, e pubblicazioni arricchirono le biblioteche scolastiche, anche se il crisma ufficiale che fatalmente li connotava non ne favoriva la lettura. Sfogliarono quelle pagine ricche di cultura pedagogica ufficiale soprattutto gli studiosi e la gente di scuola, non solo per ordinarie ragioni di aggiornamento professionale, ma anche per motivi di studio, in preparazione al concorso a preside o a direttore didattico e anche ad ispettore.
Con l’andare del tempo i Centri Didattici cominciarono ad essere fatti oggetto di valutazioni negative, che s’infittirono nei primi anni ’70, in concomitanza ed in connessione col diffondersi delle critiche contro il centralismo che caratterizzava l’organizzazione dell’istruzione nel nostro Paese.
Alla polemica contro il centralismo si accompagnava, in positivo, la richiesta di forme di partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica e in particolare di alcuni servizi, tra i quali la scuola e l’istruzione. La battaglia contro l’organizzazione accentrata del sistema si accompagnava a quella contro l’autoritarismo e il burocratismo che, secondo i critici, lo permeavano ai vari livelli, compreso quello del “governo” dell’azione docente dentro la scuola, con gravi rischi per l’autonomia didattica
I Centri Didattici erano destinati a pagare costi rilevanti in questa battaglia tesa a limitare i poteri che non fossero legittimati da processi (e procedure) partecipativi, anche quando tali poteri, come in questo caso, esibivano il volto buono della cultura e praticavano i pacifici sentieri della ricerca. Accadde così che, nei proclami sindacali dei primi anni ’70, essi figuravano immancabilmente negli elenchi degli enti da riformare o da abolire. Ciò che si voleva eliminare non era la funzione, della quale si riconosceva l’importanza e l’utilità. Era il tipo di gestione, era il loro essere organismi unici a carattere nazionale, sottoposti al controllo del Ministro e perciò irrecuperabili ad una gestione democratica, decentrata e partecipata.
.

5. Gli IRRSAE

La Legge 30 luglio 1973, n. 477, la famosa legge delega, madre degli altrettanto famosi Decreti delegati sulla scuola, soppresse i Centri didattici, istituendo al loro posto, con analoghe funzioni, gli Istituti Regionali di Ricerca, Sperimentazione e Aggiornamento Educativi (IRRSAE). Le funzioni sono analoghe, ma non identiche. Sono assenti, ad esempio, i riferimenti alla promozione di corsi di cultura educativa per le famiglie.
Il D.P.R. 31 maggio 1974, n. 419 (Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale ed istituzione dei relativi istituti) precisava e ampliava il ventaglio delle materie e dei compiti affidati ai nuovi istituti. Venivano per la prima volta in evidenza le funzioni dell’assistenza e della consulenza tecnica a supporto della progettazione di iniziative di sperimentazione didattica e di “aggiornamento” del personale. Tuttavia, per quanto concerne quest’ultimo, non si andava oltre l’ottica limitativa del “recupero”. Si era ancora lontani dal concetto di formazione, più pregnante e idoneo ad esprimere l’idea di un percorso costante di crescita professionale vista nella completezza dei suoi aspetti
Il venir meno del riferimento all’azione promozionale verso le famiglie può essere spiegato col fatto, coevo, della nascita degli organi collegiali. In questi organismi, infatti, esse erano chiamate ad assolvere, fatte le necessarie distinzioni circa le competenze, un ruolo di partecipazione in linea di principio paritario, poco compatibile col paternalismo della concezione tradizionale del rapporto scuola-famiglia, illuministicamente squilibrato a favore della scuola in quanto luogo specificamente deputato a liberare il popolo dall’ignoranza e a trasmettergli il bene dell’istruzione.


6. Un ventennio operoso

Gli elementi di maggiore novità apportati dagli IRRSAE non erano le differenze relative alle funzioni, ma la loro struttura interna e l’articolazione sul territorio, entrambe riconducibili al nuovo clima politico e sociale affermatosi nel Paese all’inizio degli anni settanta, dominato, come si è visto, dalle aspirazioni alla partecipazione e al decentramento.
Alla Consulta, organo di governo dei Centri didattici, subentrava un Direttivo di 15 esperti di eterogenea provenienza: rappresentanti del personale direttivo e docente; esperti designati dall’ente Regione, altri scelti dal Ministro, ma all’interno di rose espresse dal Consiglio nazionale e dalla prima sezione del Consiglio superiore della P.I.. La designazione dal basso prevaleva nettamente. La partecipazione aveva battuto il centralismo. La presenza di tre membri designati dalla Regione era un’ ulteriore garanzia di aderenza al territorio. Va anche notato che i complessi meccanismi ideati per designare i componenti del Direttivo avrebbero dato la stura a dannose lottizzazioni di natura politico-sindacale, che in molti casi finirono con l’avere la meglio sui più corretti e funzionali criteri della professionalità e della competenza.
Il Direttivo eleggeva nel proprio seno il Presidente, che aveva la rappresentanza legale dell’Istituto e curava, avvalendosi della collaborazione del Segretario, l’esecuzione delle delibere del Consiglio.
Solo il Segretario era di esclusiva scelta ministeriale. Destinato a curare la gestione, sia pure in condominio col Presidente, era il centro propulsore delle attività deliberate dal Direttivo. Inoltre, essendo stato scelto direttamente dal Ministro, offriva garanzie di osservanza politica, ed era in grado di assicurare i necessari collegamenti e le dovute sinergie con gli organi dell’Amministrazione scolastica periferica.
L’articolazione regionale attestava il tentativo di superare la pluridecennale condizione di dipendenza dal Centro e faceva intendere che i neonati IRRSAE non sarebbero stati, come i soppressi Centri didattici, i custodi del pensiero unico pedagogico e didattico di matrice ministeriale. Il vecchio centralismo, congruo al contesto politico dei primi anni quaranta, sopravvissuto, senza provocare particolari imbarazzi, nei primi decenni della Repubblica, era stato finalmente limitato e indebolito.
Dava a tutto ciò un significativo contributo la mancanza di organi dell’Amministrazione scolastica di livello regionale. Né le cose cambiarono quando, con l’istituzione delle Sovrintendenze scolastiche, la lacuna fu colmata, perché questi uffici erano privi di effettivi poteri d’incidenza nella conduzione delle cose scolastiche. Tanto meno erano in grado di condizionare l’operato dei neonati istituti, forti del prestigio ad essi derivante dall’elevatezza delle funzioni esercitate e dai personaggi spesso illustri che affollavano il Direttivo, ma soprattutto dall’essere, o apparire, uno dei frutti maturi di una stagione esaltante ricca di innovazioni come quella dei cosiddetti Decreti delegati della scuola.
Insieme alla collocazione territoriale, anche l’assetto interno era propizio alla realizzazione di interventi e di iniziative capaci di tradurre in realtà le aspirazioni all’autonomia da tanti anni vagheggiata dalla scuola italiana, quantunque forse più dagli studiosi e dagli esperti che dai docenti.


7. Enti autonomi o organi del Ministero?

Data la loro dimensione regionale, non è possibile dar conto in maniera dettagliata delle numerose attività svolte dagli IRRSAE nel corso degli oltre cinque lustri intercorsi dalla nascita (1975) (6) alla loro soppressione (2001). Fu una presenza ineguale, a volte contrassegnata da precarietà e immobilismo, qualitativamente diversificata da regione a regione per motivi diversi, dipendenti dalle dimensioni, dalle caratteristiche del contesto territoriale, dai rapporti instaurati o non instaurati con l’Università e finanche dalla qualità degli esperti chiamati o disponibili a fornire consulenza scientifica.
E’ innegabile che si è trattato di una presenza comunque utile alla scuola italiana, che in quest’ultimo trentennio è cresciuta anche grazie agli IRRSAE. Particolarmente preziosa è stata la loro opera nella gestione delle attività di formazione dei docenti e di accompagnamento delle riforme e delle innovazioni promosse e realizzate nel tempo dal Parlamento e dal Governo. Tra di esse conviene menzionare le norme sugli organi collegiali, quelle sull’integrazione degli alunni handicappati e sulla valutazione formativa nelle scuole dell’obbligo, i Programmi didattici della scuola media del 1979 e della scuola elementare del 1985, la Legge 59/97 (Bassanini) e il connesso D.P.R. 275 sull’autonomia. Numerose riviste pedagogiche, bollettini, pubblicazioni documentano le attività di studio e di ricerca realizzate.
Non mancarono le critiche. Qualcuno rilevò che l’ azione svolta sul territorio fu talvolta avulsa dai reali bisogni delle scuole e la loro offerta fu spesso costituita da prodotti preconfezionati da accogliere a scatola chiusa. Altri parlarono di dipendenza da questo o quel gruppo universitario collegato alla figura del presidente o a componenti del Direttivo. (7)
La dimensione regionale e la conseguente diversificazione delle attività rendevano necessaria un’azione di coordinamento, affidata dalla legge alla Conferenza dei Presidenti presieduta dal Ministro, da riunire almeno una volta ogni tre mesi, “al fine di coordinare e di promuovere iniziative di comune interesse e di assicurare lo scambio di informazioni e di esperienze”. Era la sede propizia al confronto sul ruolo degli IRRSAE e alla formulazione di proposte mirate al superamento della loro ambiguità istituzionale di soggetti autonomi sotto controllo ministeriale. (8)
Le perplessità a riguardo dell’incerta collocazione istituzionale aumentarono con gli anni, mano a mano che crescevano, dentro la scuola e fuori, le aspirazioni all’autonomia, insufficientemente soddisfatte dall’avvento degli organi collegiali, e destinate a trovare uno sbocco concreto nella legge 15 marzo1997, n. 59 sopra menzionata L’avvento dell’autonomia ebbe uno dei suoi corollari proprio nella soppressione degli IRRSAE, e nella nascita degli IRRE, come tra poco vedremo. (9)


8. Gli IRRE

L’avvento dell’autonomia e la nascita degli IRRE hanno un comune certificato di nascita nel 10° comma dell’articolo 21 della menzionata legge n. 59/97, che così recita: Gli Istituti Regionale di Ricerca, Sperimentazione e Aggiornamento Educativi .... sono riformati come enti finalizzati al supporto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche autonome. Così come gli IRRSAE avevano ricavato, almeno nella fase iniziale, forza e prestigio dall’essere nati insieme agli organi collegiali della scuola e con compiti di supporto all’esercizio della funzione docente, alla ricerca e alla sperimentazione che la definivano e la qualificavano, allo stesso modo ed in maggior misura gli IRRE traevano forza e giustificazione dall’essere finalizzati all’esercizio dell’autonomia.
Il futuro non si annunciava agevole. L’autonomia chiamava a nuovi compiti ed a nuove responsabilità scuole legate a canoni didattici e organizzativi da sempre chiusi all’iniziativa dei docenti e poco adusi alla ricerca didattica. L’avvento degli organi collegiali, l’enfasi sulla ricerca e sulla sperimentazione e le riforme degli anni settanta e ottanta avevano solo scalfito il tradizionale atteggiamento di “osservanza” dei docenti, tratto a tal punto consolidato nel loro assetto professionale da essere presente ed operante anche quando non c’era più nulla da “osservare” o qualcuno che lo esigesse.
Ma non tutto andò per il verso giusto. L’antica questione dell’intreccio tra competenze amministrative e tecniche, fastidiosa (per tutti) presenza strutturale all’interno del sistema scolastico del nostro Paese, si ripresentò e fece la sua parte. Invece di trarre vita e legittimazione giuridica e istituzionale in via diretta ed esclusiva dalla legge 59/97, gli IRRE ricavarono la definizione del loro profilo dall’articolo 76 del Decreto legislativo 30 giugno 1999, relativo alla riforma dei Ministeri, emanato in base alla delega contenuta nello stesso articolo 21 della Legge 59/97. La scelta politica originaria uscì distorta dal filtro della burocrazia e la contaminazione fu inevitabile: quando gli IRRE videro la luce, da enti semplicemente autonomi erano diventati enti “strumentali” dell’Amministrazione destinati a svolgere funzioni di supporto alle istituzioni scolastiche nel quadro degli interventi programmati dagli uffici scolastici di ambito regionale.
Il passo indietro era evidente: la dipendenza dall’Amministrazione era ribadita, non faceva più capo agli uffici del Ministero, ma ai neonati uffici scolastici regionali, il che peggiorava le cose, com’era facile intuire e come l’esperienza dimostrò. I Direttori regionali, non tutti aperti e illuminati come al contrario e spesso si rivelarono gli alti dirigenti del Ministero, diedero della norma letture tra loro molto diversificate, cha andavano dall’ingerenza nella gestione del personale e nelle scelte programmatiche degli istituti, che una certa interpretazione della norma pure consentiva, alla pretesa di cogestire le scelte progettuali e operative, all’organizzazione parallela in proprio di interventi e attività compresi tra i compiti istituzionali degli IRRE, peraltro lasciati nella penuria delle risorse necessarie a dare senso e sostanza a quel poco o molto di autonomia che la norma concedeva.


9. Struttura e funzioni

Un apposito Regolamento (10) stabilisce l’assetto interno, e fissa i compiti e le finalità dei nuovi istituti. Le innovazioni sono diverse e significative. Il vecchio Direttivo di 15 esperti è sostituito da un più agile Consiglio di amministrazione (CdA), composto di cinque persone, espresse, in prima applicazione, dalle Università presenti nella regione, dal Consiglio regionale e dall’Ufficio scolastico regionale. Il CdA elegge nel proprio seno il Presidente e, su proposta di questi, delibera la scelta del Direttore.
La novità di maggior peso è costituita dalla distribuzione dei poteri tra i diversi organi e soggetti. Il CdA è titolare dei poteri di programmazione (11) e di indirizzo, di valutazione e controllo delle attività dell’istituto. Queste sono affidate al Direttore, responsabile della realizzazione del programma, della gestione del personale, dell’organizzazione degli uffici e del corretto impiego delle risorse. Il Presidente ha la rappresentanza legale dell’Istituto, ma non svolge più le funzioni gestionali come avveniva nei soppressi IRRSAE.
In sostanza, la nuova organizzazione realizza una netta distinzione tra i poteri d’indirizzo e di controllo, in capo al Consiglio e al Presidente, e i poteri di gestione, affidati al Direttore. E’ un assetto potenzialmente in grado di esprimere buoni livelli di autonomia, anche se la norma è assai prudente, preoccupata di fare argine alle spinte autonomistiche proprie della didattica e della ricerca educativa. Il professor G. Savelli (v. nota n. 7) vede giustamente negli IRRE altrettanti laboratori di ricerca permanente al servizio delle scuole, e sottolinea l’importanza della curvatura territoriale, in grado di assicurare il collegamento con le scuole anche ai fini di una più puntuale messa a fuoco dei reali bisogni formativi e professionali.
I campi affidati alla ricerca curata o guidata dagli IRRE sono elencati nel Regolamento generale di cui al D.P.R. n. 190/01: collaborazione alla progettazione e attuazione di programmi di ricerca educativa e della relativa sperimentazione; collaborazione alla costruzione di percorsi formativi per il personale della scuola; comunicazione alle scuole di progetti formativi in Italia e all’estero; collaborazione all’attivazione di scambi di documentazione tra le scuole; collaborazione all’innovazione degli ordinamenti; approfondimento degli obiettivi formativi e delle competenze connesse coi diversi curricoli; collaborazione con l’INVALSI.
Purtroppo la sovrabbondanza delle “collaborazioni” riduce la portata e le dimensioni dell’autonomia degli IRRE, dal momento che questo termine è asimmetrico, squilibrato a favore di chi chiede la collaborazione e detiene pertanto il potere di iniziativa nell’attivazione del rapporto. Particolarmente ancillare si rivelerà quello con l’INVALSI, col quale gli IRRE sono tenuti a “coordinarsi” in materia di valutazione.


10. Un quinquennio di attività

Gl’IRRE hanno operato, tra luci e ombre, per cinque anni, diversamente efficienti e variamente configurati nell’organizzazione interna e nei rapporti con le scuole e col territorio, poveri di risorse, in precario rapporto con le Direzioni scolastiche regionali, diversi l’uno dall’altro anche nella formulazione del regolamento interno, in gran parte confezionato, in date diverse, in qualche lontano ufficio del Ministero.
Ma l’indubbia razionalità dell’assetto interno consentì di superare molte di queste difficoltà e di realizzare apprezzabili livelli di operatività e di presenza nel territorio. L’impegno maggiore fu quello rivolto a fornire supporto alle scuole impegnate nelle innovazioni introdotte dalla riforma Moratti. Ma non mancarono le iniziative di studio e di ricerca sulla didattica di alcune discipline, come la Lingua straniera, l’Italiano, le Scienze, la Matematica, sull’integrazione degli allievi diversamente abili, sulla educazione ambientale e degli adulti, sull’orientamento, sul bilinguismo, sulla formazione del personale docente.
Per coordinare il lavoro dei vari istituti e potenziarne l’azione, nel 2003 fu costituito, al posto del CIPREF, il Consorzio per l’Innovazione, la Formazione e la Ricerca Educativa (CIFRE), con sede a Perugia presso l’IRRE Umbria. Tra le sue iniziative, va ricordata la partecipazione all’expo milanese del 2004, documentata da una corposa pubblicazione, contenente, tra i molti altri, anche i contributi di tre ricercatori dell’IRRE Sardegna.(12)
L’azione del CIFRE ha parzialmente compensato il mancato funzionamento della Conferenza nazionale dei Presidenti, organo previsto dalla norma ma di fatto mai effettivamente attivato. Non è da escludersi che a ciò abbia contribuito in misura determinante proprio la nascita del CIFRE, la cui dirigenza riteneva forse che il neonato Consorzio avrebbe assicurato livelli di coordinamento più efficaci di quelli che potevano essere offerti dalla Conferenza. Se così fu, si trattò certamente di un errore, perché solo la Conferenza era in grado di sollecitare, al livello più alto, ed esercitando i poteri stabiliti dalla norma, interventi e risorse capaci di assicurare agli IRRE livelli di funzionalità e di efficienza adeguati alla loro missione.


11. La soppressione degli IRRE

Nel mese di luglio del 2006, il Consiglio dei Ministri esaminò una proposta del Ministro della P.I. tesa a modificare i criteri per la designazione dei membri dei CdA degli IRRE. L’intento era quello di pervenire ad una composizione dell’organismo tale da consentire al Ministero il controllo delle attività degli istituti. L’azione di vigilanza prevista dal Regolamento riguardava infatti solo la correttezza contabile, mentre quella concernente il programma annuale e le attività svolte si limitava alla mera informazione a consuntivo. Poteva accadere, come di fatto avvenne, che alcuni IRRE esprimessero nella propria regione orientamenti pedagogici e culturali difformi e persino contrastanti con quelli del Ministero. Le divaricazioni maggiori si erano verificate negli approcci alla riforma Moratti, circa la quale non tutti gli Istituti erano riusciti a contemperare la propria missione istituzionale con i registri propri della ricerca, i quali escludono non solo la mera informazione o la proposta acritica ma anche la contrarietà preconcetta, secondo i canoni di una sana ed equilibrata terzietà.
L’iniziativa del Ministro poneva gli IRRE di fronte ad un bivio: o adattarsi a fungere da appendici tecniche territoriali del Ministero, burocraticamente subordinate e in precaria convivenza con le Direzioni regionali o rivendicare un profilo sufficientemente autonomo, capace di svolgere un’utile funzione di cerniera tra l’amministrazione e il mondo della scuola, nell’interesse di entrambi. Ad esempio: fare ricerca sulla riforma era cosa diversa dal fare comunicazione sulla stessa. Per la seconda bastava il Ministero, la prima la poteva fare solo l’IRRE, perché solo attraverso la ricerca si poteva aprire un dialogo coi contrari o i non persuasi.
Quando si conobbe la bozza della Finanziaria, ci si avvide che il Governo aveva sposato la prima delle due alternative.
Gli IRRE sono adesso “allocati” presso le Direzioni scolastiche regionali, in un ruolo “liquido” che attende di essere definito dal Regolamento previsto dalla legge Finanziaria. Non mancherà in esso la parola “autonomia”. Mancherà però l’organismo che la rendeva possibile, il CdA, che sarà sostituito da qualche coordinatore scelto dal Ministro, titolare di una doppia subordinazione, gerarchica nei confronti del Direttore regionale, culturale e tecnica rispetto al Direttore dell’Agenzia nazionale..
La soluzione finale corrisponde a quella auspicata, non tanto dall’alta dirigenza ministeriale, quanto da alcuni Direttori regionali, in molti casi messi a disagio dalla compresenza degli IRRE, tanto più fastidiosa quanto più si mostrava dinamica e aperta al territorio e al mondo della scuola. Era stata privilegiata la via più facile, come suole avvenire quando non si riesce a mediare tra due contrastanti alternative e, prescindendo da giudizi di valore e da faticose ponderazioni sul meglio e sul peggio, si favorisce la parte più forte, anche a costo di trascurare l’interesse generale.
Sorprendono, per lucidità ed equilibrio, le parole scritte sessant’anni fa (in pieno Fascismo!), all’indomani dell’approvazione della legge sui Centri didattici, dal filosofo e pedagogista Giovanni Calò: Vi è nella scuola un pulsare di motivi, un intrecciarsi di interessi e di problemi che sfociano in un’urgenza di iniziativa e di autonomia, senza di cui la scuola non ha vita spirituale. .... Non vi è alcun Ministero che possa penetrare nell’intimo di questa vita ....la separazione e il sordo complotto tra centro e periferia sarebbero dannosi¸ ma d’altra parte la totale dipendenza sarebbe ugualmente dannosa.... Serve un organismo che sia dello Stato, ma non sia dello Stato. duttile, agile, indipendente .... (13)
E’ il profilo dell’IRRE, quello giusto e necessario. Ma nei consiglieri del Ministro Fioroni non alberga la cultura e la competenza pedagogica di un Giovanni Calò.


12. In Sardegna

Gl’IRRSAE ebbero in tutto il Paese una partenza lenta, per le difficoltà nel comporre gli assetti interni, ma soprattutto perché non fu facile reperire locali e attrezzature idonei a consentire lo svolgimento delle attività, peraltro anch’esse caratterizzate da notevoli coefficienti di novità. Anche in Sardegna il decollo fu incerto e lento, e solo dopo alcuni anni dalla sua istituzione l’Istituto ebbe una sede propria e funzionale (14). Né mancò una lunga fase intermedia di reggenza affidata ad un commissario (il professor Francesco Mameli), che di necessità ne rallentò per qualche tempo le attività.
Le iniziative realizzate, studio e ricerca, aggiornamento e formazione, furono svolte sia per iniziativa autonoma dell’Istituto sia su affidamento del Ministero, rare volte della Regione sarda. Non è possibile menzionarle tutte. Spiccano tra di esse il Progetto di formazione in servizio dei direttori didattici della Sardegna, realizzato in più fasi e in diverse sedi dell’Isola nella prima metà degli anni ’90, le attività rivolte alla illustrazione dei nuovi programmi della scuola dell’obbligo e la partecipazione ai Progetti di ricerca/azione “Ascanio” e “Alice”, promossi dal Servizio nazionale per la scuola materna.
Altre iniziative hanno riguardato le tematiche della qualità e del miglioramento, dell’autonomia, della valutazione, dell’orientamento, dell’insegnamento delle lingue, dell’educazione ambientale e degli adulti, della cultura cinematografica. Di particolare impegno è stato l’insieme delle azioni intraprese a supporto della riforma Moratti, col coinvolgimento di pedagogisti di opposte tendenze e con la partecipazione al Progetto nazionale RISoRSE, coordinato in loco dalla professoressa Ornella Pisano, teso a verificare la fattibilità di alcune tra le innovazioni da poco introdotte.
Il tema della cultura e della lingua sarde, per un insieme di ragioni che non è possibile analizzare in questa sede, è stato oggetto di attenzione in una misura inadeguata alla sua rilevanza ed alla sua attualità. Tra le azioni va comunque segnalata quella relativa al monitoraggio dell’applicazione della legge regionale n. 26/97 nelle province di Cagliari e Oristano negli anni 1999/00 e 2000/01, culminato in un riuscito convegno ad Ala Birdi (Arborea) nella primavera del 2003, i cui atti furono raccolti in un’apposita pubblicazione, inviata a tutte le scuole dell’Isola. (15)
Non è possibile fare una rassegna completa delle attività svolte dall’IRRSAE e dall’IRRE negli oltre cinque lustri di vita. Sembra tuttavia opportuno menzionare le seguenti:
a) Progetto Valutare per valorizzare, sviluppo del territorio e qualità della scuola, ricerca biennale condotta in Ogliastra dalla professoressa Rosa Piras in collaborazione e col finanziamento dell’omonima nuova Provincia, centrata sulla rilevazione degli apprendimenti e sulle relative tecniche, e sul rapporto tra valutazione, curricolo e qualità dell’insegnamento apprendimento.
b) Progetto europeo INFO, Individuazione di un modello di formazione per insegnanti operanti in aree plurilingui, in collaborazione con l’Ufficio Affari Internazionali del Ministero della Pubblica istruzione, l’Intendenza scolastica per le scuole ladine e altri partner europei, con la partecipazione della professoressa Rosella Capriata per conto dell’IRRE Sardegna.

c) Ricerca su La condizione linguistica giovanile in Sardegna, finanziata dalla Fondazione Banco di Sardegna, coordinata dalla professoressa Gabrielle Lanero, con la supervisione del professor Giulio Angioni e la collaborazione della professoressa Cristina Lavinio, che curerà anche la relativa pubblicazione. (16)


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(1) Anche le reazioni dei sindacati della scuola furono piuttosto blande, prevalentemente rivolte agli aspetti occupazionali.
(2) Mentre scriviamo, non si conosce ancora il previsto ed atteso Regolamento dell’Agenzia né la precisa denominazione del nuovo ente.
(3) Articolo 1, comma 4°.
(4) La distinzione tra i Centri nazionali e quelli Provinciali faceva riferimento sia all’ambito territoriale di presenza e attività sia alla diversa “competenza funzionale”: i primi erano deputati alla ricerca, i secondi, giovandosi dei risultati conseguiti dai Centri nazionali, avevano il compito di saggiarne l’applicabilità didattica nelle differenziate situazioni locali.
(5) La Legge Casati (3 novembre 1859, n. 3725) aveva lasciato ai Comuni le incombenze relative alle scuole elementari. Il passaggio allo Stato avvenne gradualmente, grazie a due importanti provvedimenti normativi: la Legge 4 giugno 1911, n. 487, comunemente nota come Legge Daneo Credaro dal nome del Ministro proponente, e la Legge 1° luglio 1933, n. 786.
(6) Ma l’avvio effettivo delle attività avvenne solo alcuni anni più tardi.
(7) Da un opuscolo fuori commercio del settembre 2006, predisposto dal professor Gianfranco Savelli, Presidente dell’IRRE Umbria e del CIFRE (v. anche oltre).
(8) Per favorire il collegamento tra i diversi istituti, nel mese di aprile del 2000 fu costituito il Consorzio Interirrsae per la ricerca educativa e la formazione denominato CIPREF, con sede presso l’IRRSAE di Perugia.
(9) Un bilancio critico dell’attività degli IRRSAE nel primo decennio di vita lo si può trovare in L. Santelli Beccegato, voce IRRSAE, Enciclopedia Pedagogica, volume 4°, La Scuola, Brescia 1990.
(10) Emanato con D.P.R. 6 marzo 2001, n. 190, stabiliva, tra le altre cose, che ciascun istituto doveva dotarsi di apposito regolamento interno, previa approvazione da parte del superiore Ministero
(11) Il programma di ricerca è predisposto dal Presidente con la collaborazione del Comitato Tecnico Scientifico, organismo composto da esperti culturalmente e scientificamente qualificati, e successivamente deliberato dal C. d. A...
(12) La piazza della ricerca, Atti del convegno expo 2004, Edistudio, Milano 2005
(13) Citato in C. Cottone – U. Coronas, Commentario della legislazione sull’istruzione elementare, Giunti Bemporad Marzocco, Firenze 1968, pp. 500-501.
(14) Sotto la presidenza della dottoressa Maddalena Mauri Valentino.
(15) R. Capriata – G. Uras (a cura di), Pro un’iscola prus sarda, CUEC, Cagliari 2004.
I rapporti con l’Assessorato regionale alla cultura e alla pubblica istruzione ebbero uno sviluppo limitato, insoddisfacente per entrambe le parti, circoscritto a poche isolate circostanze e ai rari contributi finanziari avaramente concessi in occasione di qualche convegno. Quasi assenti gli affidamenti, contrariamente a quanto avveniva in altre Regioni. Né produsse apprezzabili risultati l’essere, il Presidente dell’IRRSAE prima e dell’IRRE poi, membri di diritto dell’ Osservatorio regionale per la scuola e la lingua sarda, previsto dalla legge regionale 26/97, per la scarsa funzionalità dell’organismo, pletorico, spesso velleitario nel proporre, non sempre ben presieduto, da ultimo sistematicamente ignorato e di fatto abolito.
(16) Diamo i nominativi delle persone che nell’arco di oltre quattro lustri hanno ricoperto la carica di presidente dell’IRRSAE: professor Alberto Boscolo, professor Giovanni Solinas, professor Franco Epifanio Erdas, dottoressa Maddalena Mauri Valentino, professor Giancarlo Sorgia, professor Sergio Laconi, Professor Francesco Mameli (commissario), professor Alberto Granese. A partire dal 2002, all’IRRSAE subentrò l’IRRE, al cui governo si succedettero due Consigli di Amministrazione, così composti: dal 2002 al 2005, Alberto Granese (Università di Cagliari), Alberto Merler (Università di Sassari; subentrato al professor Granese dimissionario), Giovanni Muredda, Maria Pia Pisano Deiana, Sergio Pisano, Gabriele Uras (presidente). Nel 2006: Lidia Massarella, Alberto Merler, Albina Putzu, Ammamaria Sanna, Gabriele Uras (presidente). Con la soppressione degl’IRRE a decorrere dal 1° gennaio 2007, i Consigli di Amministrazione degli IRRE furono sostituiti da una terna di commissari nazionali, rappresentati localmente da subcommissari, uno per ciascuna regione. Appena pronto il previsto Regolamento, entrerà in funzione l’Agenzia nazionale, con le sue articolazioni periferiche regionali.

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