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giovedì 24 settembre 2009

I Disubbidienti. Un intervento di Gabriele Uras. Pubblicato su l'Unione Sarda di oggi.

Alcune scuole o classi, non si sa quante di preciso, ieri hanno disatteso l’indicazione del Governo di prendere parte al lutto per i caduti in Afganistan con un minuto di silenzio. La decisione del ministro Gelmini di chiedere scusa ai familiari delle vittime è stata tanto pronta quanto doverosa, perché il gesto omissivo rischiava di coinvolgere nell’inevitabile condanna da parte dell’opinione pubblica l’istituzione scuola nel suo insieme. L’esecrazione è stata presso che unanime e quasi scontata, ma ciò non esonera dal dovere di riflettere a mente fredda sull’accaduto.

La prima riflessione riguarda le modalità dell’atto, ammesso che si possa usare questo termine per indicare la non adesione all’invito a compiere l’atto ad esso opposto. La sua portata e il suo significato cambiano a seconda che l’omissione sia stata parziale, poniamo di uno o più alunni ma non di tutta la classe, di una sola classe e non di tutta la scuola. Cambia a seconda che l’idea sia partita dagli alunni oppure dai docenti, se sia stata preceduta o seguita da una dibattito, se si sia data a tutti la possibilità di esprimere il proprio punto di vista circa l’opportunità o meno di astenersi dalla commemorazione. Importa altresì conoscere, nel caso in cui la decisione abbia coinvolto tutta una classe o l’intera scuola, se sia possibile rinvenire un qualche nesso tra la decisione di astenersi e la programmazione educativa contenuta nel Piano dell’offerta formativa.

Ma quel che andrebbe attentamente scandagliato è il ruolo dei docenti o del docente, ed eventualmente quello del dirigente, perché una cosa è assolutamente certa: nessun allievo singolo, nessuna classe e nessuna scuola avrebbero mai disatteso l’invito ad osservare il minuto di silenzio, se il docente o i docenti si fossero dichiarati di contrario avviso. E’ meglio lasciare da parte il dirigente, perché spesso egli nulla può contro certe decisioni del corpo docente. Per un insegnante talvolta può essere difficile distinguere tra le proprie opzioni ideali o ideologiche e le indicazioni di valore presenti nei programmi. Quando si parla di libertà d’insegnamento fanno spesso capolino interpretazioni della stessa piuttosto disinvolte e molto soggettive, frutto dell’erronea convinzione che quando abbiamo delle idee, e le nostre idee sono sempre belle e giuste, abbiamo anche il diritto di proporle ai nostri allievi.

Scandalizziamoci, allora, ma evitiamo gli eccessi, e non dimentichiamo che la scuola non è soltanto il luogo dell’ubbidienza, ma anche e soprattutto il luogo dove s’impara a riflettere sulle ragioni dell’ubbidire ed eventualmente a farle proprie. Il fatto che i ricordati episodi oggetto di critiche e rincrescimento siano avvenuti dentro la scuola a tutta prima può sembrare un’aggravante, ma in effetti non lo è. Semmai è un’attenuante, e non manca di risvolti positivi, se qualcuno sarà capace di guidare chi ha sbagliato a riflettere sulle ragioni dell’errore. Adulti si diventa, a parte coloro che riescono ad invecchiare senza diventarlo, e di questi ce n’è più di uno nella società dei grandi e forse anche tra gli scandalizzati.

Il mondo adulto è presente dentro la scuola coi suoi valori, pregiudizi e faziosità che si depositano nella mente dei giovani orientandone le scelte. Pertanto, quando si parla di giovani, l’indice che li accusa dovrebbe ruotare a 360 gradi fino a coinvolgere l’adulto per la parte di responsabilità che gli compete, che non è poca.

Il ruolo del docente non è facile, dovendo neutralizzare con le sue proposte valoriali i disvalori che sono presenti nella società degli adulti e disorientano le menti giovanili. Il problema diviene drammatico quando nemmeno il docente risulta innocente, quando non riesce a filtrare il suo ego ideologico. Può sembrare un paradosso, ma di tutti i cittadini, il docente è quello meno libero, perché, quando è dentro l’aula, deve in parte rinunciare alle sue convinzioni personali, se il dichiararle rischia di condizionare, per un comprensibile rimbalzo di natura affettiva, gli allievi, limitando il loro diritto al dubbio e alla critica.

Tornando alle ipotesi iniziali circa le modalità con cui i deprecati episodi possono avere avuto luogo, i casi più gravi sarebbero quelli nei quali l’adesione all’iniziativa di astenersi dal minuto di silenzio sia stata totale, peggio se a proporla sia stato il docente. Se fosse stato il dirigente, il maggior colpevole sarebbe il ministro che non lo ha ancora licenziato.

Gabriele Uras
Dirigente Tecnico MIUR in quiescenza
già Presidente IRRE Sardegna

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