Sardegna. Lavoratori e pensionati reagiscono alla crisi, alla manovra del Governo e al silenzio della regione
Cagliari, 13 dicembre 2011. Le manifestazioni sindacali, con una partecipazione senza precedenti a partire dallo sciopero generale dell'11 novembre 2011 sino a quella del 12 dicembre, evidenziano non solo l'emergenza sociale e del lavoro e l'impoverimento dell'Isola, ma anche l'urgenza che a questa situazione si accompagni una forte e visibile reazione delle istituzioni e della Regione Sardegna per contrastare, per quanto rientra nel loro ruolo, le ricadute pesanti e negative dell'attuale contingenza economica.
Purtroppo la massima istituzione regionale, la Regione Sardegna, non riesce ancora a farsi carico delle difficoltà in cui versano i lavoratori, i disoccupati e i pensionati dell'Isola e neppure della necessità di guidare una risposta corale dei sardi con adeguate strategie finalizzate alla crescita economica e alle nuove opportunità lavorative.
Si spiega così il silenzio della Giunta regionale sulle imponenti manifestazioni promosse dal sindacato. Un atteggiamento che è sintomo di una debolezza strutturale della rappresentanza politica che non riesce più a intercettare i segnali del malessere ed a svol-gere quella funzione di regolazione che dovrebbe essere la principale caratteristica delle istituzioni.
Il rischio che si corre è l'assuefazione alla mera gestione del potere e ad una concezione proprietaria delle istituzioni. Non è sufficiente adempiere al confronto sulla gestione delle norme nazionali per quanto riguarda le crisi aziendali e gli ammortizzatori sociali.
Senza una strategia di governo dell'autonomia finanziaria della Regione, della crescita economica, del superamento dei vincoli dell'insularità, della promozione di nuove opportunità lavorative, delle diseconomie esterne ai processi produttivi, la Sardegna è destinata a una lunga fase di recessione e, insieme, di perifericità politica e istituzionale nelle dinamiche europee e nazionali.
Per questi motivi sono in grande difficoltà non solo i diritti di cittadinanza, ma anche la speranza che la Sardegna possa coltivare una moderna idea di sovranità nel processo di riforma della forma di stato e nelle dinamiche in atto nell'Unione europea, dove il riconoscimento dello status di insularità è ancora una chimera.
Ci interroghiamo dunque su che cosa può ancora generare il silenzio e il distacco di chi governa, prima di tutto rispetto alla credibilità delle istituzioni e alla stessa partecipazione democratica!
In una fase in cui non sono più all'ordine del giorno né i diritti dei popoli né quelli di cit-tadinanza, e il lavoro pare per ora obbligato a cedere il passo alle ragioni della finanza, è ancora più indispensabile non arrendersi e continuare a rappresentare la doman-da di tutela che arriva dai lavoratori e dai pensionati.
Riteniamo sia ancora più urgente e utile coltivare la passione e la ragione a favore di un'idea e pratica della giustizia sociale e della persona, soprattutto quando si è di fronte a una realtà che parla di migliaia e migliaia di pensionati che vivono al di sotto della soglia di povertà, e di migliaia di giovani costretti alla disoccupazione e alla precarietà.
È proprio vero, il sonno della ragione e della passione più che mai genera oggi l'iniquità e la povertà.
Purtroppo la massima istituzione regionale, la Regione Sardegna, non riesce ancora a farsi carico delle difficoltà in cui versano i lavoratori, i disoccupati e i pensionati dell'Isola e neppure della necessità di guidare una risposta corale dei sardi con adeguate strategie finalizzate alla crescita economica e alle nuove opportunità lavorative.
Si spiega così il silenzio della Giunta regionale sulle imponenti manifestazioni promosse dal sindacato. Un atteggiamento che è sintomo di una debolezza strutturale della rappresentanza politica che non riesce più a intercettare i segnali del malessere ed a svol-gere quella funzione di regolazione che dovrebbe essere la principale caratteristica delle istituzioni.
Il rischio che si corre è l'assuefazione alla mera gestione del potere e ad una concezione proprietaria delle istituzioni. Non è sufficiente adempiere al confronto sulla gestione delle norme nazionali per quanto riguarda le crisi aziendali e gli ammortizzatori sociali.
Senza una strategia di governo dell'autonomia finanziaria della Regione, della crescita economica, del superamento dei vincoli dell'insularità, della promozione di nuove opportunità lavorative, delle diseconomie esterne ai processi produttivi, la Sardegna è destinata a una lunga fase di recessione e, insieme, di perifericità politica e istituzionale nelle dinamiche europee e nazionali.
Per questi motivi sono in grande difficoltà non solo i diritti di cittadinanza, ma anche la speranza che la Sardegna possa coltivare una moderna idea di sovranità nel processo di riforma della forma di stato e nelle dinamiche in atto nell'Unione europea, dove il riconoscimento dello status di insularità è ancora una chimera.
Ci interroghiamo dunque su che cosa può ancora generare il silenzio e il distacco di chi governa, prima di tutto rispetto alla credibilità delle istituzioni e alla stessa partecipazione democratica!
In una fase in cui non sono più all'ordine del giorno né i diritti dei popoli né quelli di cit-tadinanza, e il lavoro pare per ora obbligato a cedere il passo alle ragioni della finanza, è ancora più indispensabile non arrendersi e continuare a rappresentare la doman-da di tutela che arriva dai lavoratori e dai pensionati.
Riteniamo sia ancora più urgente e utile coltivare la passione e la ragione a favore di un'idea e pratica della giustizia sociale e della persona, soprattutto quando si è di fronte a una realtà che parla di migliaia e migliaia di pensionati che vivono al di sotto della soglia di povertà, e di migliaia di giovani costretti alla disoccupazione e alla precarietà.
È proprio vero, il sonno della ragione e della passione più che mai genera oggi l'iniquità e la povertà.
Etichette: manovra economica, sardegna
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