Scuola e Formazione Professionale: in Sardegna si doveva fare di più.
Cagliari – Scuola e formazione in Sardegna: secondo la Cisl sarda si poteva e si doveva fare di più. Alla fine della programmazione-attuazione dei fondi strutturali 2000-2007, all’inizio di quella 2007-2013, quando mancano appena due anni al traguardo di Lisbona 2010, i risultati, a giudizio del sindacato, sono deludenti. Così sentenziano i numeri.
Gli oltre 701 milioni di euro del Fse avrebbero dovuto produrre effetti più sostanziosi, anche se non tutti sono stati ancora spesi e il rischio di disimpegno delle risorse è per molti progetti sempre dietro l’angolo. A fronte dell’investimento di oltre 33 milioni di euro, i risultati della dispersione scolastica rimangono drammatici: era del 32,40% nel 2001, nel 2006 è ferma al 28,3%, tre punti sopra quella del Mezzogiorno, 8 più della media italiana.
«Nelle politiche sul riordino dell'offerta sperimentale di istruzione – formazione, in Sardegna – spiega il segretario generale Cisl, Mario Medde - a pagare è stato il beneficiario finale (il giovane) espulso preventivamente dal sistema formativo e impossibilitato a rientrare nel circuito scolastico; sta di fatto che nel periodo di riferimento, la situazione della fuga dalla scuola in Sardegna è cresciuta, a fronte dell’impossibilità della Formazione Professionale di recuperarne gli effetti negativi, a tutto vantaggio del tasso di dispersione, che si presenta su valori elevati».
Gli indicatori sui livelli di istruzione evidenziano che la Sardegna occupa una posizione di retroguardia all’interno dell’Italia, e ancor di più nei confronti dell’Europa e dei paesi Ocse. Tra questi ultimi il 66% della popolazione di 25-64 anni possiede almeno un diploma di scuola secondaria superiore contro il 44% dell’Italia (anno 2003, Education at a glance 2005, Ocse) e circa il 38% della Sardegna.
I giovani che abbandonano prematuramente gli studi rappresentano per la Sardegna un record assoluto in Italia. Il dato relativo alla popolazione di 18-24 anni, con titolo di studio inferiore al diploma di scuola secondaria superiore, che non partecipa ad ulteriore istruzione o formazione, infatti, è pari al 32,6% in Sardegna contro il 22,1% dell’Italia e il 15,2% dell’UE25.
Tali dati evidenziano quindi che la Sardegna si ritrova nel 2005 con una percentuale di abbandono scolastico doppia rispetto alla media UE, e addirittura tripla rispetto a quella stabilita come obiettivo negli accordi di Lisbona.
La formazione professionale regionale ha svolto, anche se solo in parte, le finalità sue proprie di strumento di politica attiva del lavoro, consentendo comunque a una grossa parte dell’utenza di vedere riconosciute le aspirazioni individuali di miglioramento delle conoscenze e delle competenze.
L’incontro fra domanda e offerta nel mercato del lavoro è avvenuto in modo parziale: il 54,5% della corsualità finanziata dalla Regione non ha trovato corrispondenze nell’analisi di riferimento sui fabbisogni formativi espressi dalle aziende regionali (ricerche sui fabbisogni formativi finanziate dalla stessa misura 3.5 del POR 2000-2006). Le cause risiedono nella perdurante mancanza di un sistema istituzionale di raffronto dei dati di domanda/offerta e nella mancanza di un sistema riconosciuto, almeno a livello nazionale, di certificazione degli standard formativi e delle competenze acquisite. Assente, peraltro, risulta anche il coinvolgimento degli enti bilaterali che operano in Sardegna, che presentano un’elevata specializzazione nella formazione continua e che sono articolati per comparti produttivi.
Appare chiaro come le forti carenze di questo sistema abbiano influenzato i dati negativi in ordine al raggiungimento degli obiettivi, anche in presenza di considerevoli impieghi di finanziamento.
Il sindacato in un primo bilancio fatto dalla segreteria regionale Cisl parla di «scommesse perdute e di risultati deludenti». «Rientrano in queste categoria – secondo il segretario generale Cisl, Mario Medde - la formazione per l’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati, l’istruzione e la formazione permanente, la promozione della partecipazione femminile al mercato del lavoro, le esigenze di riforma del sistema di Istruzione e Formazione; le istanze di innovazione dei processi; la necessità di rivalutare le Risorse Umane del sistema, l’esigenza di innovare il sistema dell’accreditamento e della gestione dei bandi e della valutazione dei progetti.
Molto si sperava in una riforma organica del sistema istruzione-formazione fermo a 30 anni fa, ma i tempi della politica sono stati davvero biblici e il disegno di legge regionale è fermo da più di un anno nei cassetti della commissione consiliare. Il sistema della Formazione professionale – basato sul doppio filone regionale diretto e regionale indiretto e convenzionato – con l’andare degli anni, per le politiche perseguite, ha visto una forte crescita quantitativa della convenzionata e l’indebolimento dell’attività dei centri regionali.
«La crisi della formazione professionale non si è manifestata – ha detto Medde - solo sul versante degli aspetti gestionali, ma anche e soprattutto sull’efficacia dell’offerta formativa, in uno scenario caratterizzato da una debolezza strutturale del mercato del lavoro, sul versante soprattutto della domanda, e della stessa programmazione istituzionale; inesistente questa sul piano locale e accentrata a livello regionale».
La Cisl è molto critica sul modo in cui la Regione ha affrontato il nodo formazione professionale. «In circa quattro anni la risposta della Regione, rispetto ad una reale esigenza di riforma si è manifestata – ha detto Medde - solo nella destrutturazione del sistema, travolgendo anche gli aspetti positivi e nicchie rilevanti di offerta formativa e professionalità adeguate». Risultato? Il «dimagrimento» forzato del settore, che ai lavoratori è costato quattro anni molto duri di crisi. Il sindacato è riuscito a evitare un prezzo ancora più alto strappando alcuni ammortizzatori e paracadute alla Regione «finora dimostratasi insensibile». «Dopo l’esodo incentivato e la cassa integrazione, si è ora ottenuta una lista speciale ad esaurimento con la Regione che si sostituisce come datore di lavoro alle agenzie formative», precisa Medde.
«Riteniamo in proposito – ha aggiunto il segretario generale - che le politiche del lavoro vadano rilanciate senza sottrarle alle misure di protezione delle fasce deboli, di cui anzi debbono costituire sostegno per il miglioramento delle capacità e delle competenze; debbano rafforzare il legame virtuoso che le lega alle politiche formative, creando i presupposti perché un sistema integrato di Istruzione e di formazione contribuisca alla crescita delle risorse umane, del loro bagaglio di competenze, in maniera che queste siano funzionali al modello di sviluppo, alle esigenze di crescita del sistema impresa e alla valorizzazione del lavoratore all’interno del mondo del lavoro; debbano contribuire, con la formazione, non solo ad aumentare gli spazi di occupabilità di chi non ha lavoro, ma anche le opportunità di crescita professionale per chi il lavoro lo ha già e per chi corre il rischio di perderlo».
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