L'"Italiano di Adro". Intervento di Gabriele Uras pubblicato oggi su L'Unione Sarda.
Povero quel Paese che ha bisogno di eroi. E povera quella scuola che ha bisogno di un benefattore per assicurare il pasto ai propri alunni.
Ha fatto notizia il gesto di un imprenditore di Adro, cittadina in provincia di Brescia, che, per scongiurare il pericolo della sospensione dai pasti, ha saldato con un assegno tratto dal suo conto in banca il debito dei genitori che da tempo non pagavano la quota per la mensa fruita dai loro figli iscritti alla scuola a tempo pieno. Tra di loro molti extracomunitari, ma non mancava una rappresentanza di nativi dalla pelle bianca, non tutti nullatenenti. In tanti hanno lodato la generosità dell'opulento imprenditore. Tra loro anche il poeta Tonino Guerra, che giunge fino a chiamare in causa il Presidente Napolitano con una proposta a dir poco eccessiva, che suona, più o meno, così: Signor Presidente, c'è un seggio al Senato che alcuni miei amici ed estimatori propongono che sia attribuito alla mia persona. Le chiedo di destinarlo idealmente al generoso "italiano di Adro", perché mai come in questo caso imprenditore fa rima con senatore.
Dal suo canto, il Sindaco del Comune, gestore della mensa, si difende dall'accusa di avere mortificato i figli innocenti dei padri morosi, affermando di non avere fatto altro se non applicare le regole della corretta amministrazione. E intanto, i genitori in regola coi pagamenti, pentiti di aver pagato, minacciano di non pagare più, mentre una parte dei morosi ha già messo mano al portafoglio ed ha saldato il debito. C'è anche stato qualcuno in reale situazione di bisogno, che ha dichiarato di non poter pagare.
Adro è un centro di circa 7.000 abitanti, ma è noto a chi si occupa delle cose di scuola fin dai primi anni '70, allorché il direttore didattico Elio Damiano, oggi pedagogista di valore e professore all'Università di Parma, vi organizzò una delle prime sperimentazioni di scuola a tempo pieno, presto divenuta famosa e assunta a modello da moltissime altre scuole. A suo fondamento stava il principio della unitarietà della giornata scolastica, sulla cui base tutti i suoi momenti avevano pari dignità e valenza formativa, la lezione d'aula come la mensa, il laboratorio come la palestra. Immediatamente dopo venivano quelli, strettamente connessi al primo, della collegialità e dell'apertura alla comunità locale, ma soprattutto alle famiglie degli alunni, parte attiva e consapevole della comunità educante, direttamente coinvolte nell'organizzazione della mensa. Unitaria la giornata, unitaria la gestione della scuola, coordinata dal direttore didattico, figura centrale e di riferimento, chiamato ad armonizzare e a portare a sintesi le azioni delle diverse componenti di quella realtà complessa, a dirimere gl'inevitabili conflitti, a ricercare le possibili soluzioni agli immancabili problemi.
Quarant'anni, con tutta evidenza, non sono passati invano. Le famiglie, un tempo pilastro del tempo pieno ora sabotano, magari senza volerlo, uno dei suoi momenti più qualificanti. La giornata scolastica, un tempo fluidamente articolata in una pluralità di momenti convergenti in direzione dell'effettiva animazione del processo educativo dell'alunno, ha smarrito la sua unitarietà, fino a rendere legittimo il dubbio se il Sindaco, prima di passare alla denuncia delle morosità, abbia coinvolto il dirigente della scuola, che ha ancora oggi, e forse oggi più del suo collega di quarant'anni fa, ampie possibilità di intervento. Poteva intervenire sulle famiglie, coinvolgere gli organi collegiali della scuola, assumere a bilancio tutte le donazioni di questo mondo, compresa quella dell'opulento benefattore materializzatosi tra tanta pubblicità e lacrime di commozione.
Nel dibattito sulla stampa, e finanche nella loquace Ballarò, nessuno ha individuato il vero responsabile dell'accaduto, che è la scuola, che non ha saputo difendere la sua autonomia di comunità educante, ed ha permesso che venisse messa a rischio la sua organizzazione interna, di cui la mensa è parte integrante, e irrimediabilmente lacerato il suo tessuto formativo, che ha nel rispetto della dignità degli alunni l'ordito che lo regge. Qualcuno, e mi riferisco al dirigente della scuola, doveva rispettosamente far notare al Sindaco che il rispetto per gli alunni è più importante della corretta amministrazione, e che è possibile conciliare le due cose. E poi dare una mano a risolvere il problema.
Gabriele Uras
Dirigente tecnico del Miur in quiescenza
già Presidente IRRE Sardegna
Ha fatto notizia il gesto di un imprenditore di Adro, cittadina in provincia di Brescia, che, per scongiurare il pericolo della sospensione dai pasti, ha saldato con un assegno tratto dal suo conto in banca il debito dei genitori che da tempo non pagavano la quota per la mensa fruita dai loro figli iscritti alla scuola a tempo pieno. Tra di loro molti extracomunitari, ma non mancava una rappresentanza di nativi dalla pelle bianca, non tutti nullatenenti. In tanti hanno lodato la generosità dell'opulento imprenditore. Tra loro anche il poeta Tonino Guerra, che giunge fino a chiamare in causa il Presidente Napolitano con una proposta a dir poco eccessiva, che suona, più o meno, così: Signor Presidente, c'è un seggio al Senato che alcuni miei amici ed estimatori propongono che sia attribuito alla mia persona. Le chiedo di destinarlo idealmente al generoso "italiano di Adro", perché mai come in questo caso imprenditore fa rima con senatore.
Dal suo canto, il Sindaco del Comune, gestore della mensa, si difende dall'accusa di avere mortificato i figli innocenti dei padri morosi, affermando di non avere fatto altro se non applicare le regole della corretta amministrazione. E intanto, i genitori in regola coi pagamenti, pentiti di aver pagato, minacciano di non pagare più, mentre una parte dei morosi ha già messo mano al portafoglio ed ha saldato il debito. C'è anche stato qualcuno in reale situazione di bisogno, che ha dichiarato di non poter pagare.
Adro è un centro di circa 7.000 abitanti, ma è noto a chi si occupa delle cose di scuola fin dai primi anni '70, allorché il direttore didattico Elio Damiano, oggi pedagogista di valore e professore all'Università di Parma, vi organizzò una delle prime sperimentazioni di scuola a tempo pieno, presto divenuta famosa e assunta a modello da moltissime altre scuole. A suo fondamento stava il principio della unitarietà della giornata scolastica, sulla cui base tutti i suoi momenti avevano pari dignità e valenza formativa, la lezione d'aula come la mensa, il laboratorio come la palestra. Immediatamente dopo venivano quelli, strettamente connessi al primo, della collegialità e dell'apertura alla comunità locale, ma soprattutto alle famiglie degli alunni, parte attiva e consapevole della comunità educante, direttamente coinvolte nell'organizzazione della mensa. Unitaria la giornata, unitaria la gestione della scuola, coordinata dal direttore didattico, figura centrale e di riferimento, chiamato ad armonizzare e a portare a sintesi le azioni delle diverse componenti di quella realtà complessa, a dirimere gl'inevitabili conflitti, a ricercare le possibili soluzioni agli immancabili problemi.
Quarant'anni, con tutta evidenza, non sono passati invano. Le famiglie, un tempo pilastro del tempo pieno ora sabotano, magari senza volerlo, uno dei suoi momenti più qualificanti. La giornata scolastica, un tempo fluidamente articolata in una pluralità di momenti convergenti in direzione dell'effettiva animazione del processo educativo dell'alunno, ha smarrito la sua unitarietà, fino a rendere legittimo il dubbio se il Sindaco, prima di passare alla denuncia delle morosità, abbia coinvolto il dirigente della scuola, che ha ancora oggi, e forse oggi più del suo collega di quarant'anni fa, ampie possibilità di intervento. Poteva intervenire sulle famiglie, coinvolgere gli organi collegiali della scuola, assumere a bilancio tutte le donazioni di questo mondo, compresa quella dell'opulento benefattore materializzatosi tra tanta pubblicità e lacrime di commozione.
Nel dibattito sulla stampa, e finanche nella loquace Ballarò, nessuno ha individuato il vero responsabile dell'accaduto, che è la scuola, che non ha saputo difendere la sua autonomia di comunità educante, ed ha permesso che venisse messa a rischio la sua organizzazione interna, di cui la mensa è parte integrante, e irrimediabilmente lacerato il suo tessuto formativo, che ha nel rispetto della dignità degli alunni l'ordito che lo regge. Qualcuno, e mi riferisco al dirigente della scuola, doveva rispettosamente far notare al Sindaco che il rispetto per gli alunni è più importante della corretta amministrazione, e che è possibile conciliare le due cose. E poi dare una mano a risolvere il problema.
Gabriele Uras
Dirigente tecnico del Miur in quiescenza
già Presidente IRRE Sardegna
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