Il Progetto regionale di formazione per i dirigenti scolastici della Sardegna: qualche riflessione a margine.
Esiste un nesso, a tutti noto, tra il conoscere e il fare. In molti sensi. Si conosce facendo, non c’è conoscenza separata dal fare, non esiste un fare scisso dalla conoscenza, e così via. Ciò vale nella vita, in campo educativo, nel lavoro dalle forme più umili a quelle più alte e prestigiose.
Ma non sempre siamo consapevoli del fatto che nel fare impieghiamo solo una parte delle nostre conoscenze di settore. Detto in un altro modo: nel fare il nostro lavoro abbiamo bisogno di sapere molte cose in più rispetto a quelle che utilizziamo per svolgerlo. Probabilmente ciò vale per qualsiasi attività umana razionale e intelligente. Un meccanico, ad esempio, farà meglio il suo lavoro se avrà un corredo di conoscenze sulla materia e su altre materie ad essa collegate più ampio di quello che utilizza nello svolgere un determinato intervento sull’auto del cliente.
Questo surplus di sapere non è sprecato, ma dà sicurezza, aiuta ad affrontare casi imprevisti, integra quella che si suole chiamare competenza, ad esempio quella propria del medico, del meccanico, dell’autista, dell’insegnate, del dirigente scolastico, e così via.
Affermare che nella vita e nel lavoro, nell’esercizio delle professione di solito utilizziamo solo una parte delle nostre conoscenza di settore, e che c’è un’altra parte che non utilizziamo direttamente, ma ci agevola nell’attività assicurando al nostro fare un utile sfondo di sicurezza e di consapevolezza, comporta delle conseguenze quando proviamo a individuare i caratteri propri di un determinato profilo professionale.
Intanto occorre ricordare che questo profilo non viene stabilito in astratto, ma a partire dalla disamina dei bisogni e delle esigenze che l’esercizio di una determinata attività o professione è chiamata a soddisfare. Ed è un profilo soggetto a cambiare nel tempo e nello spazio, secondo gradienti che sono determinati dall’importanza e dal valore attribuiti a questi bisogni e a queste esigenze.
Si può prendere ad esempio la figura del maestro elementare. Inizialmente si riteneva che per fare il maestro occorresse un corredo di conoscenze di poco superiore a quelle che l’allievo avrebbe dovuto apprendere. Successivamente, il suo profilo si arricchì di componenti relative alla didattica, alla Pedagogia e al bambino, fino a che , con l’avvento degli organi collegiali e dell’autonomia, ci si accorse che al suo corredo professionale mancava tutta una serie di conoscenze, di capacità e di abilità relazionali ormai necessarie per gestire in modo appropriato i rapporti coi colleghi, con le famiglie degli allievi e con gli stessi allievi.
Cambiato il contesto, cambia anche il profilo.
Ma l’intento di questo intervento è di mostrare che questo profilo si colloca su due livelli, come abbiamo visto all’inizio: conoscenze, abilità e competenze impiegabili direttamente nel lavoro, e competenze non coinvolte in modo diretto, ma del pari necessarie, dal momento che la loro mancanza indebolirebbe l’impiego delle prime.
Non è necessario che appaiano, ma ci devono essere.
La riforma gentiliana dell’Istituto magistrale adottò questo criterio, anche se andò incontro ad un duplice sbilanciamento, conferendo un peso eccessivo alla cultura generale e svalutando l’importanza della didattica in quanto tesa a regolamentare dall’esterno la relazione docente-allievo, di natura eminentemente spirituale, libera e spontanea. Ma la tesi qui presentata non ha bisogno dell’avallo del filosofo dell’attualismo, dal momento ch’essa appare di tutta evidenza e per condividerla è sufficiente un po’ di buon senso.
Come spesso avviene, alla banalità dell’affermazione può corrispondere qualche non banale conseguenza.
Ad esempio, se diamo uno sguardo al Progetto di massima per la formazione dei dirigenti scolastici predisposto di recente dalla Direzione scolastica regionale, ci accorgiamo che i suoi contenuti si collocano tutti sul piano di ciò che serve direttamente al dirigente scolastico delle istituzioni scolastiche autonome. Esso appare puntigliosamente orientato a dare e a confermare competenze di pronto impiego, anche perché segue con diligenza, doverosamente, l’impostazione originaria partita, giustamente, dal Ministero.
Per essere chiari, gli estensori del Progetto, almeno per quanto riguarda le tematiche individuate, non meritano alcuna critica, anzi gli si deve dare atto della cura con cui hanno scelto di attenersi alle linee di contenuto stabilite a Roma, che non possono non rispecchiare, come si è visto sopra, il profilo del dirigente quale si è andato configurando nella norma in questi ultimi anni. I dubbi e le perplessità semmai riguardano proprio questo profilo, tutto giocato sull’amministrativo e sull’organizzativo, abbastanza povero di sporgenze squisitamente pedagogiche e culturali, predominanti nel passato.
Non sarebbe lontano dal vero chi ritenesse che questo profilo disattende l’esigenza vista sopra, e che manchi in esso quel surplus di competenze non direttamente utilizzabili nelle faticose quotidianità gestionali del neo dirigente, ma utili e necessarie ad accrescerne la cultura e ad incrementare tutto ciò che la cultura solitamente dà in consapevolezza, in apertura mentale ed in capacità di cogliere e interpretare i segni dei tempi.
Conforta l’ultimo paragrafo dell’introduzione alle nuove Indicazioni per il curricolo diramate ai primi del mese di settembre, dove con parole alte si parla di un nuovo umanesimo. A quando i primi riverberi sul profilo del dirigente scolastico?
Gabriele Uras
Ispettore Tecnico MPI in pensione
ex Presidente IRRE
Etichette: Dirigenti Scolastici, formazione, gabriele uras
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